Le illusioni di una vita passata
La vita romana era molto più modesta di quella che sperimentiamo noi oggi. Loro avevano come centro di vita la famiglia, concetto che è andato sfumando nel tempo. Il capo era il pater, era l’unico che aveva la massima autorità ed era un uomo potente e senza scrupoli, pretendeva l’obbedienza della sua sposa e dei suoi fanciulli, aveva anche un potere su di loro, quasi supremo, il diritto di vita o di morte su quelle creature che lui aveva creato. La donna li coccolava, era anche la signora della casa, si dedicava alla cultura e a semplici attività; come se questo potesse colmare il senso di sottomissione del marito. Era servita da ancillae che la trattavano come una regina, la facevano sentire come una principessa all’interno della sua dimora.
Poteva capitare anche a quel tempo che la matronae fossero uccise dagli uomini come scrive lo storico Tacito in questo lasso: “Tum, ut adsolet in amore et ira, iurgia preces, exprobatio satisfactio, et pars tenebrarum libidini seposita; ea qua quasi incensus nihil metuentem ferro tradsverberat”; “Come spesso accade nelle faccende d’amore o di rabbia, vi furono alterchi e suppliche, accuse e discolpe. Una parte della notte fu riservata al piacere, dal quale, repentinamente travolto, egli la colpisce col pugnale”.
Forse leggerete queste parole e penserete che siano assurde e senza senso, ma è semplicemente la dura e cruda realtà.
I figli erano legati molto all’unità della famiglia e si sottomettevano al volere del padre, con molta devozione. Avevano un’educazione completa, ma Roma mirava, sopratutto, a far comprendere loro cosa significasse essere cittadino, un onore per loro.
Invece, la nostra vita inizia quando nasciamo e qualcuno decide per noi di battezzarci; frequentiamo la scuola per un quarto di vita, studiamo spesso cose che non ci serviranno veramente, troviamo un lavoro che occupa gran parte della nostra esistenza; ci alziamo ogni mattina storditi e incavolati. Malediciamo ogni giorno che non sia il weekend. Veniamo soggiogati da un ottimismo smielato, che ci convince che tutto andrà bene, che finalmente ci realizzeremo, ci innamoreremo della persona giusta, alla quale giureremo che il nostro amore sarà eterno, finché morte non ci separi, come se noi potessimo conoscere il nostro futuro. Faremo dei graziosi pargoli e passeremo le domeniche a fare shopping, convinti che esso ci renda meno tristi. Attenderemo la nostra fine in uno squallido ospizio, in compagnia dei sogni che non siamo stati in grado di realizzare e con l’anima che non ha fatto altro che accontentarsi.
La nostra vita è come un binario e noi siamo il treno che lo percorre: possiamo decidere di seguirlo e di arrivare al capolinea oppure possiamo far girare le rotaie e cambiare strada, tanto prima o poi il capolinea arriverà, però, il viaggio sarà stato tutt’altra cosa.
Vorrei tornare indietro nel tempo e vivere la mia fanciullezza negli anni ’70, guardare la TV in bianco e nero e vedere mia madre giovane ballare con mio padre e amare lui come unico uomo per tutta la sua vita. Avrei voluto guidare una macchina d’epoca con i sedili in pelle, fare festa con gli amici, ridere e scherzare sulle note dei Pink Floyd e di un loro vecchio vinile, senza alcun bisogno di telefoni che riproducano la musica, andare ad un concerto dei Beatles e portare il loro taglio di capelli e alzare gli occhi al cielo e vederlo di un azzurro più acceso, libero da grattaceli che lo invadono, partecipare alle rivolte studentesche del ’68.
Vorrei conoscere qualcuno tramite il suo sguardo e il suo sorriso, non con un messaggio su Instagram ed essere corteggiata per ottenere la mia mano e non un’altra parte del mio corpo. Vorrei che non esistesse Internet e un tempo in cui le storie non durano più di 24 ore.
Insomma vorrei vivere più col cuore e non vivere per elemosinare un po’ d’amore.



