
La rivoluzione della cura
Negli ultimi anni gli scienziati sono riusciti a scoprire e sperimentare terapie estremamente efficaci per malattie da sempre ritenute incurabili. Dall’intervento sul materiale genetico per le malattie ereditarie all’immunoterapia del cancro, la medicina sta cambiando a una velocità impressionante grazie agli incredibili progressi della ricerca. Tecnologie estremamente sofisticate puntano a risolvere il problema alla radice e, in molti casi, esistono già veri e propri farmaci, come quelli basati su virus che trasportano geni terapeutici, cellule capaci di distruggere tumori o piccole “forbici” molecolari per tagliare il Dna. Alcuni di questi farmaci possono essere somministrati una sola volta nella vita: sono in grado di curare e di guarire.
Tuttavia, la scienza medica avanza in maniera veloce e alcune persone rischiano di essere esclusi dalle nuove scoperte. Ciò rende difficile la realizzazione di un obiettivo importante del sapere medico e cioè la medicina partecipativa. In assenza di conoscenza, una persona non potrà mai trasformarsi da “oggetto” a “soggetto” della cura e partecipare attivamente alle scelte che riguardano la sua salute. D’altronde, come anche Socrate credeva, la conoscenza è il mezzo che permette di arrivare ad un comportamento etico e, quindi, ad una felicità comune a tutti.
Le basi che sono state gettate
Ci sono state scoperte rivoluzionarie nel campo della medicina, che hanno cambiato la storia dell’umanità, migliorando e allungando la vita in modi che oggi ci appaiono scontati. Un esempio è la penicillina, scoperta nel 1928 dallo scozzese Alexander Fleming, che ha inaugurato l’era degli antibiotici, la prima vera arma universale contro le infezioni batteriche.
I vaccini, un’invenzione brillante realizzata dal medico inglese Edward Jenner nel 1796, con un sistema così semplice quanto geniale, insegnano al sistema immunitario a riconoscere le malattie e a sapersi difendere. Grazie a questa creazione, i vaccini hanno salvato milioni di vite da malattie infettive mortali che decimavano la popolazione mondiale. Ancora sviluppi scientifici sono i farmaci chemioterapici contro il cancro, i trapianti d’organo, l’insulina, i farmaci biotecnologici… Tutte queste innovazioni e idee ci hanno portato fino ad oggi, dopo una lunga catena di errori e scoperte.
In questo esatto momento noi tutti siamo testimoni di una nuova formidabile svolta: la rivoluzione della cura sta nella possibilità di agire sui nostri geni, è la così detta “rivoluzione della cura”.
Nel 1991, negli U.S.A, la prima bambina affetta da una rara forma di immunodeficienza genetica fu sottoposta al primo trattamento per correggere il Dna delle sue cellule. Le aspettative del mondo scientifico erano grandi, ma non si potevano ancora immaginare tutte le virtuosità di questa tecnologia. È una tecnologia straordinariamente complessa, ma che, modificando il Dna, arriva dritta alla radice del problema, invece di ricorrere a trattamenti secondari o anche classici che agiscono solo sui sintomi delle malattie. Questo ha portato ad un cambio di prospettiva che è il fulcro della rivoluzione della cura. Da quella prima paziente ci sarebbero voluti altri trent’anni di ricerca sulla terapia genetica, in un viaggio di alti e bassi, condotto, dal lavoro di scienziati per arrivare alle nostre conoscenze odierne.
Dopo la fondamentale scoperta, nel 1953, della struttura a doppia elica del DNA, si diffuse negli anni ’70 l’idea di poter modificare il nostro DNA a scopi terapeutici attraverso l’ingegneria genetica, fino ad arrivare, nell’ultimo decennio, all’editing genomico, modificando il DNA attraverso le forbici molecolari.
Le sfide affinché queste nuove e potenti terapie possano diffondersi in modo più ampio non sono però solo tecnologiche. Un tema delicato e molto complesso è quello dell’accesso alle cure, così che l’innovazione sia effettivamente utilizzabile da tutti, ma, allo stesso tempo, sostenibile per la sanità pubblica. Non solo: una tecnologia così dirompente deve essere tutelata e protetta, per evitare che si passi da utilizzi eticamente condivisibili, ad una sorta di “doping” genetico per potenziare il nostro organismo senza un fine terapeutico.

Un’infezione… che cura
Un’ infezione che cura che cosa? Come illustrato prima, il nostro DNA può avere dei problemi per due principali cause: mutazioni ereditate o acquisite nel tempo.
Parlando di quelle ereditate, sono causate da mutazioni gravi su entrambe le copie del gene ereditate dai genitori, che sono di solito entrambi portatori sani della mutazione. Le mutazioni che si trovano sul cromosoma X colpiscono in genere i maschi, perché manca la copia “di riserva” del cromosoma X, per la presenza del cromosoma Y. Alcune mutazioni sono talmente potenti che si definiscono, infatti, “dominanti”.
Parlando invece di mutazioni acquisite nel tempo, il DNA delle nostre cellule tende ad acquisirle a causa di agenti esterni o per errori che avvengono nel momento in cui la cellula si replica. I raggi ultravioletti, alcune sostanze chimiche, il fumo del tabacco e le radiazioni sono tutti fattori di rischio, perché è stato dimostrato che sono associati alla nascita di mutazioni nelle nostre cellule.
La maggior parte degli errori viene riparata grazie alla presenza di alcuni enzimi che leggono continuamente il genoma, e agendo come un “correttore”, riparano il segmento di Dna sbagliato a partire dalla copia di riserva del filamento, ma non sempre è così.
Pochi decenni fa è stata intrapresa la strada della cura del difetto alla radice, modificando il DNA e concentrandosi in maniera primaria sulle malattie genetiche; è nato così l’idea di utilizzare virus come veicoli per trasportare informazioni genetiche all’interno delle cellule. Ciò è frutto di lunghi esperimenti e fatiche di Joshua Lederberg, premiato con il Nobel per la medicina nel 1958, il quale dimostrò come i batteriofagi potessero introdurre DNA nelle cellule batteriche, modificandole geneticamente. Quindi, il genoma virale modificato attraversa la barriera del nucleo e si integra nel genoma della cellula, portandosi dietro il gene terapeutico. Questo trattamento della terapia genetica è stato condotto per la prima volta il 14 settembre 1990 su una bambina statunitense e l’anno successivo su altri due bambini di Milano che soffrivano della stessa malattia: immunodeficienza congenita causata da mutazioni del DNA. Il nome principale a cui questa pratica gira attorno è il biologo americano Paul Berg.
Editing genomico
L’editing genomico agisce come correttore sul DNA, riparando l’errore specifico ed eliminando la copia alterata del gene malato, offrendo una cura per le malattie genetiche.
Le tecnologie di editing si stanno evolvendo con grande rapidità, mettendo a punto degli strumenti sempre più precisi e sofisticati per modificare il genoma. Tra le piú note c’è senza dubbio la tecnologia CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, in italiano Sequenze Ripetute Palindrome Brevi Raggruppate a Intervalli Regolari) che ha portato al premio Nobel per la Chimica nel 2020 le sue scopritrici, Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier; quest’ultima è fondatrice della società biotecnologica svizzero-americana CRISPR Therapeutics AG con sede a Zurigo, in Svizzera.
È stata una delle prime aziende costituite per utilizzare la piattaforma di editing genetico CRISPR per sviluppare farmaci per il trattamento di varie malattie rare e comuni. Il sistema CRISPR, prima tecnologia di editing a essere stata impiegata per produrre un farmaco approvato per la cura di una malattia genetica, agisce come una “forbice” molecolare, che taglia sequenze di Dna nei punti selezionati, che poi vengono riparate dai sistemi cellulari. Successivamente, sono stati elaborati anche il base editing, che funziona un po’ come un set di gomma e matita per cancellare e riscrivere una lettera del Dna su un’altra, e il prime editing, che si comporta invece come un elaboratore di testi, con una funzione “trova e sostituisci”, rintracciando un segmento di Dna per scambiarlo con un altro.
Le “forbici” molecolari e le altre tecnologie di editing hanno portato la scienza in una nuova epoca e in molti modi promettono di apportare un beneficio straordinario all’umanità, tanto che sono state definite la più grande scoperta biotecnologica del secolo.
La scoperta della tecnologia dell’editing è avvenuta a partire da un elemento che esisteva già in natura, che poi è stato adattato e migliorato a scopo terapeutico nell’uomo. Il sistema CRISPR era stato individuato originariamente nei batteri, per i quali rappresenta un arma efficiente di difesa contro il genoma dei virus che li attaccano: è una specie di sistema immunitario primitivo, capace di identificare rapidamente l’intruso e di renderlo innocuo, facendolo a pezzi. Gli elementi del sistema sono essenzialmente la proteina Cas, un enzima speciale capace di tagliare il Dna e una molecola di Rna, che guida l’enzima nel punto preciso in cui intervenire.
Charpentier e Doudna hanno iniziato a collaborare nel 2011, pubblicando l’anno successivo il lavoro in cui sono riuscite a ricreare le “forbici” molecolari dei batteri e a semplificarne i componenti in modo che fossero piú versatili. Come ricorda Doudna nella lettura tenuta in occasione del conferimento del premio Nobel, “uno degli aspetti meravigliosi di CRISPR e di questo progetto con Emmanuelle è che a un certo punto della nostra ricerca una storia che era stata guidata dalla curiosità si era trasformata in un progetto che aveva implicazioni straordinariamente più ampie”. La svolta epocale è stata quella di essere riuscite a riprogrammare a piacimento le “forbici” genetiche: nella loro forma naturale riconoscono il Dna dei virus, ma Charpentier e Doudna le hanno modificate in modo da poter tagliare qualsiasi molecola di Dna in un punto predeterminato.
E dove viene tagliato il Dna è possibile riscrivere il codice della vita.

Il messaggero degli dei… l’Rna
Durante il COVID-19, gli scienziati riuscirono nell’incredibile impresa di creare dei vaccini efficaci, sicuri e completamente diversi da quelli utilizzati fino a quel momento: i vaccini a mRna.
L’Rna messaggero o mRna è quella molecola che fa da staffetta tra il Dna e le proteine, tra l’informazione genetica contenuta nei cromosomi e le funzioni da questa dettate.
Le proteine che la cellula produce sulla base dell’informazione custodita nel Dna sono infatti le molecole che orchestrano tutti i processi cellulari. Ecco perché anche un singolo errore nella lunga sequenza del Dna, come una mutazione, può causare enormi problemi al funzionamento dell’organismo per la mancata o difettosa produzione della relativa proteina.
L’mRna, quindi, ha il compito di leggere le istruzioni del Dna contenute nel nucleo della cellula, dove risiedono i cromosomi, trascriverle come un messaggio e portarle con sé nel citoplasma, dove si trovano gli amminoacidi, che servono a formare le proteine.
Le terapie e i vaccini basati sull’Rna si fondano, dunque, sul concetto che per produrre o modificare l’espressione di una proteina non è necessario modificare il Dna, ma basta inviare alla cellula il “foglietto” con le indicazioni corrette.
La terapia basata su Rna è iniziata, in realtà, molto tempo prima del COVID-19 e dei vaccini creati per combatterlo. Dobbiamo fare, innanzitutto, un passo indietro e tornare agli anni in cui Watson e Crick scoprirono il segreto della vita: nella pubblicazione del 1953, in cui annunciarono la struttura a doppia elica del Dna, dichiararono anche che, data la sua struttura chimica, per l’Rna è probabilmente impossibile appaiarsi a formare una doppia elica.
Passarono appena tre anni quando, nel 1956, gli scienziati statunitensi Alexander Rich e David R.
Davies dimostrarono che i loro colleghi avevano torto: anche i filamenti di Rna appaiano in una doppia elica, seguendo le regole valide per il Dna.
Si parla spesso della medicina del futuro come medicina “4p”: preventiva, predittiva, personalizzata e partecipativa.
Ogni «p» rappresenta un punto fondamentale di un nuovo approccio alla salute.
La medicina preventiva cerca di anticipare le malattie, evitando che si manifestino o rallentandone l’insorgenza.
Grazie ai progressi della genomica permette di identificare con maggiore attenzione i fattori di rischio, offrendo cosí la possibilità di interventi mirati e personalizzati.
La medicina personalizzata permette di sviluppare terapie, adattando i farmaci e le strategie terapeutiche alle caratteristiche specifiche del paziente, riducendo così gli effetti collaterali e aumentando l’efficacia dei trattamenti.
Infine, la medicina partecipativa si fonda sull’idea che il paziente sia un elemento attivo nel proprio percorso di salute, così che il rapporto medico-paziente diventa una collaborazione, in cui la comunicazione e la condivisione delle informazioni hanno un ruolo cruciale.
Niente di tutto questo sarà possibile se la rivoluzione in atto rimarrà chiusa nei laboratori. Il futuro della medicina dipende dalla nostra capacità di diffondere queste innovazioni e renderle disponibili, per tutti e ovunque.
Un grande passo che va fatto per il bene di tutti.