
Le architetture friulane
“L’architettura è l’attività umana che comprende l’arte e la tecnica di ideare, progettare e costruire edifici e qualsiasi altra opera che modifichi l’ambiente in relazione alle esigenze della vita degli uomini.”
Il Friuli è stato ed è una terra di grandi costruttori. Essi hanno esportato la propria arte nel mondo, ì distinguendosi per competenza e risultati. Tuttavia, parlare delle architetture del Friuli è materia complessa, di cui non possiedo le necessarie competenze pertanto mi limito ad alcune riflessioni sugli aspetti che mi hanno maggiormente colpito durante il mio viaggiare tra boschi, montagne, laghi, colline, pianure e mare di cui questo territorio è il fortunato detentore.
In questa terra, che è la mia, si è sempre data un’enorme importanza all’edificazione della casa e, per erigerla, non si sono risparmiati energia, risorse e, soprattutto, molti sacrifici, perché per il friulano la casa è un vincolo fondamentale. In essa è compreso tutto: la vita lavorativa, gli affetti e i propri beni.
Qui in Friuli è stata sperimentata, fino dai primi insediamenti antropici, la tecnica costruttiva della terra cruda, un aspetto della storia dell’edilizia friulana forse poco conosciuto, anche perché poco diffuso e di cui rimangono poche testimonianze. Esistono ancora oggi, nonostante nel 1976 il Friuli sia stato colpito da un evento tragico quale un terremoto distruttivo, costruzioni di questo tipo, tutte diverse, originali e forse anche robuste, perché hanno contrastato la forza bruta del sisma.
La caratteristica di queste costruzioni è specifica e locale, vale a dire che la materia prima proviene dalle immediate vicinanze della casa, limitando i trasporti che erano particolarmente complicati, visto che la movimentazione dei materiali da costruzione nella maggior parte dei casi avveniva con forza animale.
Un’abitazione di questo tipo è, pertanto, “assoluta espressione del territorio circostante, lo rappresenta nel profondo, nei contenuti oltre che nell’architettura.”
Il metodo di costruzione con la terra cruda è molto semplice: terra + acqua (ed in alcuni casi anche paglia ed altro che diventa fango) e sole per essiccare e indurire l’impasto, senza cottura nelle fornaci.
Il composto ottenuto viene lavorato con le mani o con semplici attrezzi di uso comune e non c’è alcun bisogno di personale specializzato, il che è un grandissimo vantaggio. La terra è, inoltre, totalmente riciclabile e isola perfettamente dal caldo, dal freddo e dai pericolosi campi elettromagnetici. È un materiale molto “sostenibile”, fatto anche questo molto importante visto quanto sia grave il problema dell’inquinamento.
Con i mattoni crudi che sono chiamati “adobe” vengono realizzate le pareti della casa come fossero mattoni cotti in fornace. Per realizzare i muri delle case si lavora direttamente l’impasto con le mani oppure l’impasto della terra cruda può essere gettata dentro casseforme, come si fa per il calcestruzzo. Queste tecniche sono definite “pisé” e “bauge”. Per realizzare pareti non portanti la terra cruda si può ricoprire con rami o tavole grezze. In questo caso la tecnica è detta “torchis”. Questa modalità costruttiva può essere considerata antiquata, come affermano alcuni studiosi che la ritengono addirittura metodo di costruzione per paesi sottosviluppati, ma in realtà si è diffusa in varie parti del mondo e tutta la penisola italiana ne presenta ancora delle rare testimonianze, sia in pianura che in montagna anche
per strutture pubbliche. Si può menzionare che anche alcuni palazzi di Udine e Cividale sono stati realizzati in “adobe” o “torchis”.
Costruiti correttamente, questi edifici resistono nel tempo, come ampiamente dimostrato. Lo testimoniano alcune costruzioni di Tiezzo (nella pianura a sud di Pordenone), realizzate tra il 1600 e il 1700, di Lumignacco (nella periferia sud di Udine) che risalgono ai primi anni del 1800, e altre
realizzate prima del 1800 nella pianura friulana a Percoto, Cervignano e San Vito al Torre.
Ho voluto iniziare questo articolo parlando di terra cruda come materiale da costruzione perché la terra esprime un rapporto diretto con il contesto: potremmo affermare che l’architettura in terra interpreta
lo spirito primitivo del costruire in un dialogo diretto con il luogo. Partendo da quest’ultima affermazione e girovagando per il Friuli, più volte mi sono soffermato a guardare gli edifici che caratterizzano i piccoli centri, connotati da architetture solo apparentemente semplici.
Questo mi ha spinto a riflettere sull’importanza del patrimonio costruito vernacolare e sui significati reconditi che esso detiene. A ben vedere, le architetture tradizionali possono essere intese come degli scrigni, dei contenitori di contenuti che sono le nostre tradizioni, la nostra storia, i nostri valori e, soprattutto, la nostra memoria. Questi edifici sono memorie che parlano e raccontano un passato a
chi li sa ascoltare.
Le pietre antiche non sono semplici pietre bensì il lavoro di cavatori, scalpellini, muratori e manovali che come le singole note originano una sinfonia, trasformano e nobilitano il materiale lapideo rendendolo architettura.
Paul Valery sosteneva che le architetture cantano, io penso, invece, che parlino in un profondo silenzio che rimane apparentemente muto durante il giorno, durante la notte, invece, parla continuamente, architetture immerse nel gelo mattutino del freddo inverno, baciate dal flebile sole primaverile, arse dal caldo estivo e colorate dalle luci basse dell’autunno che fanno presagire l’arrivo dell’inverno. Le architetture sono sempre le stesse, ma nelle loro sfumature sempre diverse per gli occhi che le sanno osservare. Racchiudono il sudore di falegnami, fabbri, muratori, scalpellini che, attraverso la loro maestria, ci hanno donato le costruzioni che definiscono i nostri borghi, che vivono in simbiosi con lo spirito del luogo in cui sorgono, architetture fatte per appartenere al loro territorio, dal quale traggono la linfa costruttiva, quei materiali che scandiscono un rapporto quasi mimetico tra costruito ed ambiente naturale. È un patrimonio unico, che rispecchia la storia di genti e tradizioni, che vive nel presente
con l’auspicio di essere tramandato alle future generazioni.
Osservando questi edifici non posso esimermi dal pensare ai costruttori, alle loro fatiche e al loro sapere. Noto anche alcuni aspetti propri della mia regione. Il Friuli è una terra di confine, un intreccio di culture e tradizioni, che hanno portato, attraverso scambi secolari, ad una ricchezza umana ed architettonica. In tale quadro si colloca l’architettura tradizionale friulana, spesso definita con i termini “minore”, “vernacolare”, “spontanea”, ma fortemente legata al territorio e alle sue risorse. Possiamo suddividere il territorio friulano in tre grandi tipologie: montana, collinare e pianeggiante. In ognuno di questi ambiti territoriali riscontriamo peculiarità uniche, come nel caso di Sauris, dove il legno emerge prepotentemente nelle abitazioni e nei rustici. Si tratta di una località unica, dove una comunità, in epoca medievale, si è trasferita dalla vicina valle del Leisach in Austria sino a Sauris.
In questo mio breve viaggio in terra friulana ho incontrato un Friuli dalle mille facce, dalle mille contaminazioni culturali, una terra di confine e crocevia di merci e tradizioni. Qui etnie che si intrecciano fondendo tra loro culture e modi di vivere di cui le architetture tradizionali sono la concreta testimonianza di un vissuto.
Ma dinnanzi a tante opere la domanda quasi d’obbligo, che un immaginario interlocutore si può porre perché è: Leonardo ha parlato della casa, per giunta tradizionale, e non dei meravigliosi palazzi, ville, castelli e chiese? La risposta non è semplice; secondo me queste architetture sono maggioritarie in Friuli, scandiscono il nostro territorio e rappresentano l’essenza delle nostre comunità. In esse riscontriamo testimonianze di valori e tradizioni. Sono edifici in cui intravedo il luogo della memoria, dei ricordi, delle radici dell’individuo, del suo vissuto e di quello dei suoi avi. La casa è il luogo dove all’odore del caffè della frenesia mattutina si contrappone il grande senso di dolcezza della sera, dove affiora la stanchezza della dura giornata appena trascorsa, ma anche la gioia di ritrovare i propri cari e di cenare assieme, per poi farsi cullare dall’oblio della notte nell’attesa del domani.
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