
Se ci prendiamo cura della natura, lei si prenderà cura di noi
Il 22 aprile è stata la Giornata mondiale dedicata alla Terra, un evento che ha come scopo quello di sensibilizzare la tutela dell’ambiente terrestre. Durante la settimana dedicata a questo evento, durante le ore di scienze naturali, abbiamo visionato un documentario chiamato “Una vita sul nostro Pianeta”, dove il conduttore, nonché biologo, David Attenborough, racconta la sua vita e la storia evoluzionistica della vita sulla Terra, soffrendo per la scomparsa della biodiversità e proponendo prospettive per il futuro della natura.
Il documentario si apre facendo riferimento ad un episodio: il disastro di Chernobyl. Questa catastrofe ha reso l’intera città, e le zone limitrofe, inabitabile da quel 26 aprile del 1986 ma non si tratta di un evento isolato. Ogni giorno è in atto la tragedia della scomparsa dei luoghi naturali e della costante perdita della biodiversità. Catastrofi accumunate da uno stesso elemento: l’essere frutto di errori umani.
David Attenborough, è spettatore di questo cambiamento e dall’inizio della sua carriera ha visitato aree incontaminate e quasi inesplorate, che oggi sono state devastate. Le foreste pluviali sono state sacrificate, i loro alberi abbattuti per lasciare il posto a monocolture e strade asfaltate, anche se erano la casa di specie che oggi contano poche decine di esemplari. La caccia ha costretto per anni i ranger a vivere accanto ai gorilla di montagna, a cui i bracconieri hanno sparato a lungo indisturbati per poter sottrarre gli esemplari più giovani. Con il passare degli anni il nostro divulgatore ha osservato i coralli dei grandi reef che si sono sbiaditi diventando scheletri, le foreste che si sono rimpicciolite, gli animali che sono diventati difficili da trovare nei loro ecosistemi.
Ad un certo punto, già qualche decennio fa, l’umanità si è resa conto della propria condizione. Con il lancio dell’Apollo 8 la Terra è stata per la prima volta osservata dall’esterno: è lì che ci siamo scoperti soli e vulnerabili su un Pianeta limitato. Soprattutto dagli anni Settanta in poi, è cresciuta la consapevolezza dell’importanza della tutela degli ecosistemi. Specie come le balene, cacciate in maniera cruenta per ricavarne olio e carne, una volta osservate, una volta ascoltati i loro canti maestosi, sono diventate simbolo di ciò che stavamo perdendo per la stessa colpa, per la smania incontrollata di accaparrarci risorse definite di un Pianeta finito. La nostra casa è limitata. Da decenni continuiamo a chiederle qualcosa di più ogni giorno e le conseguenze sono quelle che abbiamo davanti agli occhi. A lungo l’essere umano non si è reso conto di avere il potere di minacciare l’esistente. L’ha fatto dal momento in cui ha interferito con i ritmi naturali del Pianeta in un’era, l’Olocene, stabile che ha consentito a tutti gli ecosistemi di svilupparsi e di creare il mondo così come lo conosciamo, almeno fino a quando non lo abbiamo stravolto e devastato.
Vogliamo davvero rendere la Terra un luogo inospitale e inabitabile come quello di Chernobyl? Abbiamo già abbattuto tremila miliardi di alberi e devastato metà delle foreste pluviali; abbiamo intenzione di proseguire oltre? Ormai il 70% degli uccelli è addomesticato (soprattutto pollame), il 60% dei mammiferi è composto dalla specie umana e la parte restante si aggira attorno al 4%. Sono le cifre di un Pianeta gestito dall’uomo per l’uomo.
A questo punto la domanda viene spontanea: davvero il nostro Pianeta è perduto? Non è detto. L’ultima parte di questo magnifico racconto si tinge di speranza. Anche se consideriamo i dati raccolti negli anni che partono dal 1937 (con una popolazione mondiale di 2.3 miliardi, il carbonio nell’atmosfera di 280 parti per milione e la natura incontaminata del 66%) e arrivano ai giorni nostri, nel 2020 (con la popolazione mondiale di 7.8 miliardi, il carbonio nell’atmosfera di 415 parti per milione e la natura incontaminata del 35%), c’è ancora qualcosa che possiamo fare e, in sintesi, si tratta di ristabilire la biodiversità, ciò che abbiamo eliminato. Non abbiamo altre vie di fuga se non quella di “rinaturalizzare” il mondo e fare ciò che la natura ha sempre fatto: aiutarla a riprendersi piano piano il suo posto sulla Terra.
A nostro favore abbiamo la capacità di essere gli unici viventi in grado di prevedere le conseguenze delle nostre azioni. Non dobbiamo temere il futuro, ma costruirne con saggezza uno che ci permetta di sopravvivere. In tutto ciò c’è un filo conduttore, la natura è nostro alleato e dobbiamo fare ciò che ha sempre fatto, capire il senso della vita perché una specie può prosperare solo se tutto il resto prospera con essa; se ci prendiamo cura della natura, lei si prenderà cura di noi. Se ci pensiamo, siamo alla fine di un viaggio, dobbiamo riscoprire come essere sostenibili e accorciare la distanza con la natura, per tornare ad essere parte di essa come miliardi di anni fa. Non si tratta di salvare solo il nostro Pianeta, ma noi stessi, quindi allo stesso tempo salviamo la natura.
Dopo Chernobyl la natura ha riconquistato il suo spazio, la foresta e gli animali hanno invaso la città e gli spazi circostanti; la prova schiacciante che i nostri errori, seppur gravi, possono essere recuperati dalla natura che riesce a superare tutto. La natura continuerà, ma questo non si può dire per gli esseri umani e ora abbiamo bisogno della saggezza e consapevolezza.
Dopo la visione di questo filmato, ci siamo soffermati per discutere di quanto il conduttore ha raccontato nel documentario, ovvero quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi senza che noi ce ne rendiamo conto. Abbiamo riflettuto su quello che la nostra presenza sta causando al mondo, ovvero la scomparsa della biodiversità; se continua a diminuire con questo ritmo, nel 2050 il nostro pianeta sarà incontrollabile per quanto riguarda il clima e i fenomeni atmosferici e senza alcuna forma vivente in esso. Infatti, non è ancora troppo tardi, possiamo sistemare le cose, se tutti ci impegniamo cambiando delle piccole cose del nostro stile di vita. Se ci pensiamo, noi esseri umani dipendiamo interamente dalle risorse limitate che troviamo nel nostro habitat ed è per questo che dobbiamo puntare all’ecosostenibilità, utilizzando le fonti rinnovabili. Queste fonti rinnovabili sono infinite, quindi dovremo sfruttare l’energia del Sole, l’acqua, il vento e le fonti geotermiche che limiterebbero i danni che il nostro Pianeta sta subendo. Per questo il nostro scopo principale non è salvare il Pianeta, ma noi stessi, lavorando con la natura per tornare alla normalità.
Classe 1A



