
L’Amazzonia e noi
Negli ultimi anni e, più recentemente, in occasione dell’ultima riunione del G-20, telegiornali, programmi televisivi e perfino le reti sociali hanno richiamato la nostra attenzione sui problemi ambientali. Questo è avvenuto anche attraverso uno slogan che sostiene la necessità di salvare l’Amazzonia.
La regione amazzonica rappresenta il principale bioma per biodiversità del mondo. Essa, infatti, ospita il più grande bacino idrografico, la più grande foresta pluviale e il 20% dell’acqua dolce del pianeta. Quest’area ha un’estensione di circa 6.700.000 km² e si sviluppa in ben nove Stati sudamericani: il Brasile ne ospita più del 60%, il Peru il 13%, la Colombia il 10%, mentre il restante 17% è suddiviso tra Ecuador, Venezuela, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese.
In tanti affermano che l’Amazzonia è il polmone del mondo. Essa, infatti, ha la capacità di immagazzinare una quantità enorme di anidride carbonica (CO2), e riesce a generare grandi quantità di pioggia e vapore acqueo che, grazie all’azione del vento (fiumi volanti), aiutano non solo la propria regione, circoscritta all’America del Sud, ma alimentano anche il ciclo globale dell’acqua dell’intero Pianeta.
La sua biodiversità non ha paragoni. Fino ad ora gli scienziati non sono riusciti a classificare tutte le specie animali e vegetali esistenti. Inoltre, il suo suolo è ricco di minerali, come oro, alluminio, ferro, manganese, rame, zinco, nichel e moltissimi altri.
Il problema è che una grande percentuale di questo territorio è stato bruciato per dare spazio a piantagioni di soia e foraggi utilizzato per alimentare il bestiame (buoi allo stato brado), oppure per commercializzare il legname proveniente dalle sue foreste. Inoltre, la ricerca dei minerali ha contribuito all’inquinamento di fiumi e suolo. Gli incendi e la deforestazione sono in continuo aumento e gli esperti sostengono che, nelle ultime due decadi, si è emessa più CO2 di quanta è stata assorbita. Insomma: un vero disastro!
Altri scienziati, però, difendono la teoria secondo la quale il vero polmone del mondo si trova negli oceani. Secondo questa visione, infatti, attraverso la fotosintesi, il fitoplancton, un insieme di microorganismi vegetali, provvede all’ossigenazione delle acque e dell’atmosfera. La sua capacità di produrre ossigeno è circa il doppio rispetto a quella che può provenire dalle foreste tropicali. Ad ogni modo, anche questi scienziati concordano che una deforestazione incontrollata può creare danni a tutto l’ecosistema e contribuire alla trasformazione in savana di diverse aree del pianeta.
Più di 350 ONG nel mondo si occupano di questo tema. E noi, cosa stiamo facendo? In fin dei conti anche noi abitiamo in questo pianeta, e quindi i problemi della terra sono anche nostri.




